di Stefano de Falco

Docente presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II"

Classe ’73. Ex velista. Ingegnere, Dottore di Ricerca in Ingegneria, si è sempre occupato del rapporto tra innovazione e geografia della innovazione. Insegna Geografia della Innovazione Urbana e La Città come Sistema Economico all’Università Federico II di Napoli, dove è anche Direttore dell’IRGIT, Istituto di Ricerca sulla Geografia della Innovazione Territoriale. È Presidente della AICTT, Associazione Italiana Cultura per il Trasferimento Tecnologico. È responsabile scientifico di numerosi progetti e fa parte di diversi comitati scientifici ed editoriali. È autore di numerosi testi con le principali case editrici italiane e di diversi articoli su riviste nazionali e internazionali.

di Oliviero Casale

Innovation Manager

Innovation Manager. Esperto di Sistemi di Gestione dell’Innovazione, si è occupato da sempre di trasformazione tecnologica e digitale delle micro, piccole e medie imprese. Attualmente in UniProfessioni, brand di MB Group, ricopre il ruolo di Amministratore Delegato. È Referente Istituzionale della AICTT, Associazione Italiana Cultura per il Trasferimento Tecnologico. È Segretario di AICQ Emilia Romagna e Vice Presidente del CtS di Assinrete oltre che componente del GL 057 Economia Circolare presso l’UNI. Nel suo trascorso professionale, ritenendo importante la diffusione della cultura dell’innovazione è stato autore di numerosi articoli su riviste specialistiche nazionali e internazionali.

La valenza strategica della macro-area.

Dimensione territoriale ottimale per l’efficientamento delle attività economiche, produttive e turistiche

Il tema della crescita economica ha storicamente generato due macro-filoni di ricerca caratterizzati da una diversa considerazione del valore spaziale: la teoria neoclassica, che non ha mai preso in considerazione il fattore territoriale, correlando lo sviluppo a fattori esogeni, e i più recenti approcci della Nuova teoria della crescita e della Nuova geografia economica.
Nell’approccio neoclassico le ipotesi di perfetta diffusione delle conoscenze e di rendimenti costanti di scala precludono la possibilità di spiegare differenziali di crescita persistenti nel tempo che costituiscono, invece, un dato dell’esperienza, soprattutto con riferimento ai problemi di aree locali specifiche, economicamente arretrate.
I modelli della crescita endogena e la Nuova geografia economica (NGE), sviluppatesi alla fine dello scorso millennio, si presentano più ricchi di implicazioni. Ciò si deve soprattutto al fatto che le ipotesi di partenza, come la presenza di rendimenti crescenti e una analisi più precisa dal punto di vista microeconomico dei meccanismi di diffusione delle conoscenze, consentono di dar conto di persistenti variazioni nelle modalità di sviluppo di economie differenti.
Nei recenti anni l’importanza del fattore territoriale, quale elemento promotore e catalizzatore di fenomeni di innovazione in ambito economico, produttivo e perfino turistico, è andata sempre crescendo. Risultati scientifici e pratiche realizzative hanno poi individuato nelle macro-aree le unità di massimo efficientamento di tali esternalità territoriali.
La stessa Unione europea adotta le cosiddette strategie macroregionali sin dal 2009. Il suo obiettivo finale è quello di sviluppare un quadro integrato per affrontare le sfide e le opportunità comuni di particolari settori, attraverso politiche di cooperazione e integrazione per uno sfruttamento più efficace delle abbondanti risorse esistenti.

L’emblema del fenomeno è vistoso nel settore automotive

L’emblema del fenomeno in corso è vistoso, ad esempio, nel settore automotive. Sebbene l’industria automobilistica sia una delle industrie più globalizzate, a causa della presenza di grandi assemblatori in tutti i principali mercati, la sua struttura geografica risulta essere basata funzionalmente su reti di produzione macroregionali integrate e su cluster produttivi locali o regionali. Il principale vantaggio dell’integrazione macroregionale è una più efficiente divisione territoriale di manodopera attraverso la specializzazione macroregionale, che consente economie su più ampia scala. Il libero scambio e i costi di trasporto ridotti consentono, infatti, alle imprese di sfruttare al meglio la distribuzione disomogenea dei fattori di produzione e del lavoro.
Il settore automobilistico periferico nelle regioni di produzione integrate nella produzione macroregionale sta dando luogo a quella che molti analisti chiamano la periferia europea della crescita. I fattori distintivi che ne stanno determinando il suo sviluppo riguardano la disponibilità di salari significativamente inferiori rispetto alle regioni centrali tradizionali, una costante disponibilità di manodopera per fronteggiare picchi di carico lavorativo, la vicinanza geografica a mercati redditizi che riducono i costi di trasporto e il continuo sviluppo di moderne infrastrutture di smart mobilities finanziate da bandi europei.

La roadmap da perseguire è quella di pianificare e implementare strategia di tipo collaborativo

Lo scenario positivo inclusivo e dinamico dal punto di vista dello sviluppo, presenta caratteristiche intra-settoriali, pertanto, sebbene con maggiori evidenze già consolidate in ambito automotive, si presta bene ad una scalabilità ad altri settori economici e produttivi e finanche al rilancio di strategie turistiche ormai in osmosi a orientamento di tipo più specificamente economico e produttivo.
La roadmap da perseguire per la valorizzazione delle virtuose e dinamiche piccole realtà locali è, dunque, quella di pianificare e implementare strategia di tipo collaborativo, e non competitivo tra attori insistenti su di uno stesso territorio, animate da obiettivi comuni declinabili secondo le specifiche singole esigenze.
In tale framework, emerge in conclusione una architettura della geografia dello sviluppo territoriale che risulta essere basata su configurazioni a geometria variabile secondo modelli reticolari nei quali i nodi hanno certamente grande importanza, ma non minore di quella dei rami. Dunque, un modello a valore aggiunto sistemico che vede i nodi, le piccole realtà, integrate tra loro.
Un modello collaborativo per le piccole realtà locali utile a innovare e mettere a fattor comune capitale umano e competenze è sicuramente quello delle reti di imprese. Il contratto di rete è una forma di aggregazione con obiettivi d’innovazione e di business che però lascia autonomia alle singole realtà aziendali.
Aggregarsi permette alle piccole e medie imprese dello stesso settore o della stessa catena del valore di unire le forze per innovare, sviluppare prodotti, partecipare a bandi, condividere processi e servizi, mettere a sistema conoscenze ed esperienze e creare valore aggiunto.
In questo modo, le micro, piccole e medie imprese, che sono il tessuto imprenditoriale di territori esterni ai grandi agglomerati urbani, riescono a fare massa critica per affrontare ricerca applicata, innovazione e competizione sui mercati. Verranno generati degli “ecosistemi innovativi diffusi” grazie alla gestione dell’innovazione, oltre facilitare la trasformazione dei processi da lineari in circolari.
Corollario concreto di tale dinamica è quello che vede la necessità di intercettare opportunità di finanziamento già pensate su scala di rango superiore in termini di macro-area di riferimento.