di Giovanni Galvan

Romano, classe 1963, un passato da informatico, esperto di formazione professionale, politiche attive e di finanziamenti da parte di Fondi pubblici. Dal 2003 si occupa di Fondi Interprofessionali. Per 12 anni funzionario di 2 Fondi, è passato poi alla consulenza per altri Fondi su aspetti tecnici e per la valutazione dei progetti.  È stato consulente per il programma GOL per la Provincia di Bolzano. È attualmente direttore di Accademia Informatica di Roma. È autore del libro “I Fondi Interprofessionali cosa sono, cosa offrono e come funzionano” pubblicato da Franco Angeli.

Il prelievo del Governo sul gettito dei Fondi Interprofessionali come ostacolo alla crescita ed all’innovazione delle imprese

Da quanto sono nati i Fondi Interprofessionali paritetici per la formazione continua nel 2003, sono stati numerosi gli “attentati” dei Governi ai loro budget, già non particolarmente ricchi, sia per ottenere risorse per le politiche passive del lavoro (molto popolari in politica) sia per ottenere risorse e basta.

I 19 Fondi attualmente operativi, incassano circa 800 milioni / anno.

Partiamo dal fatto che i Fondi possono gestire, su scelta delle imprese, lo 0,30% sul monte retribuzioni, versato dai datori di lavoro, che assomma mediamente a 50 euro / anno a lavoratore. Allo stato attuale, si calcola che tutti i 19 Fondi attualmente operativi, incassino circa 800 milioni / anno. Ecco cosa hanno fatto i Governi per “incentivare” questo strumento negli ultimi 20 anni.

Nel 2004 il Ministro Tremonti ridusse lo 0,30% allo 0,10% per pagare la Cassa Integrazione in deroga.

Nel 2013 il Governo Letta decise di prelevare 246 milioni dal gettito 0,30% a quel momento incassato dall’INPS e non ancora erogato ai Fondi Interprofessionali, sempre per finanziare la Cassa Integrazione in Deroga.

Almeno comunque erano fondi per le politiche del lavoro, sia pure passive, ma la cosa più triste è che si è trattato di una goccia nel mare in quanto si sono coperte solo in parte le casse integrazioni che “divorano” ben altre cifre.

Altre iniziative governative che fanno riflettere su quanto la politica creda alla formazione come strumento di crescita di imprese e lavoratori sono state quelle, entrambe fallite fortunatamente, del Governo “Conte 1” quali “Quota 100”  finanziata

in attesa della riforma dei Fondi di solidarietà bilaterali di settore

anche mediante l’erogazione di prestazioni previdenziali integrative finanziate con i fondi interprofessionali

e persino il Reddito di Cittadinanza dove

il Patto di formazione può essere altresì stipulato dai fondi paritetici interprofessionali

attraverso specifici avvisi pubblici previa intesa in sede di Conferenza unificata – Stato / Regioni / Parti Sociali.

Nel 2020 i Fondi sono coinvolti nel Fondo Nuove Competenze (Governo Conte 2) sia come soggetti che contribuiscono al Fondo stesso, cosa non verificatasi, sia come soggetti cofinanziatori dei progetti approvati dall’ANPAL, e qui almeno si tratta di formazione continua.

La cosa più grave però è il decreto del 2014 del Governo Renzi, che rende stabile il cosiddetto “prelievo forzoso” di 120 Milioni l’anno dal gettito dei Fondi Interprofessionali, dal 2016 per fini non legati a politiche del lavoro (né attive né passive).

Su quest’ultimo, che assomma quasi al il 20% del totale, c’è da anni una richiesta di abolizione da parte di imprese, lavoratori ed operatori del settore formazione. Nel 2021 – 2023 i Governi hanno restituito la cifra a patto che i Fondi ci finanziassero formazione anche a disoccupati e cassintegrati. A fronte di questo impegno, la cifra sarebbe stata sbloccata “a piè di lista”, cosa avvenuta parzialmente, anche se comunque è del tutto insufficiente a coprire il fabbisogno per queste categorie. Inoltre, i Fondi non sono organizzativamente e statutariamente attrezzati per gestire anche lavoratori non occupati.

Si registra la diponibilità del Governo a restituire il “prelievo forzoso”

Si registra però in questi giorni (marzo 2024) una disponibilità del Governo per rivedere queste scelte restituendo, da quest’anno e in via strutturale, il “prelievo forzoso”, dall’altro prevedendo un regime Iva di miglior favore per il settore della formazione.

In tutto questo, stiamo parlando di risorse che in questo momento servono più di 1 milione di imprese e circa 10 milioni di lavoratori. Come si fa, con queste incertezze, unite a tutta una serie di altre complessità del sistema (a partire dalla presenza di 19 Fondi) a garantire alle imprese il supporto sufficiente a far si che l’innovazione sia supportata da una formazione aggiornata e professionale?

Ci si augura quindi che a breve venga rivista tutta la normativa del settore, togliendo le “contaminazioni” con le politiche passive, che necessitano di ben altre risorse e soprattutto di un quadro legislativo ad hoc, aumentando la quota dello 0.30% (in Francia siamo al 1,6%), razionalizzando il sistema dei Fondi ed aprendo la formazione a sistemi di accesso più semplici, quali il voucher e l’e-Learning.