AMPIORAGGIOtestata-a-doppio

Da Jazz’Inn 2025 a Jazz’Inn Capitale 2026

2 appuntamenti per conoscere il percorso che unirà aree interne e aree metropolitane

Dopo la scelta del Comune di Campobasso come sede 2025 (tra 59 territori candidati), ecco 2 appuntamenti (e 8 buoni motivi) per iniziare il percorso verso Jazz’Inn 2025 e conoscere il programma e le modalità per candidarsi come case giver per il living lab di open innovation che si terrà dal 29 settembre al 3 ottobre nel capoluogo molisano e nei borghi limitrofi.

L’esperienza di 8 anni dedicati a promuovere l’innovazione lontani dai luoghi comuni, ci permette di lanciare un progetto per unire aree metropolitane e aree interne in un percorso comune che si svilupperà tra 2025 e 2026 e vedrà coinvolte la regione che “non esiste” e la Città Eterna, per immaginare nuovi modelli di sviluppo, sostenibili e innovativi.

8 MOTIVI PER PARTECIPARE

Le esperienze maturate in questi anni ci hanno fatto capire che:

  1. Non esistono periferie dove idee e innovatori si riuniscono.
  2. Occorre eliminare le distanze tra centro e aree interne per evitare fenomeni di spopolamento-sovrappopolamento e accelerare la digitalizzazione delle aree interne.
  3. Bisogna ridurre le asimmetrie informative tra centri decisionali e destinatari dei fondi pubblici per focalizzare meglio le scelte strategiche nell’uso delle risorse.
  4. Occorre valorizzare gli asset (materiali e immateriali) e le vocazioni disponibili nel Paese oggi ampiamente sottoutilizzati e lasciati depauperare.
  5. Facilitare la relazione tra la domanda (pubblica e privata) e l’offerta di innovazione per andare oltre le dinamiche attuali in tema di startup per produrre effetti concreti e non disperdere le energie e le potenzialità dei nostri innovatori.
  6. Far convergere in modo utile gli strumenti finanziari esistenti, creando processi virtuosi di innovazione finanziaria e gestionale pubblico-privata;
  7. Offrire alle imprese italiane occasioni efficaci e tempi adeguati per confrontarsi con gli innovatori e orientare meglio i propri investimenti e cercare nuove idee per competere sui mercati con prodotti e servizi ad alto valore aggiunto.
  8. Disporre di un’intelligenza collettiva che supporti gli obiettivi di imprese e amministrazioni pubbliche.

Capire questo ci ha permesso di stimolare sinergie, collaborazioni e investimenti per oltre 90 milioni di euro, creando uno spazio e un tempo anarchico e organizzato (come ha detto qualcuno), nel quale grandi aziende, startup, investitori, enti pubblici, istituzioni e centri di ricerca hanno trovato occasioni per collaborare senza barriere in quello che definiamo un non evento dove ogni partecipante è protagonista delle attività e non uno spettatore passivo.

Ora lanciamo nuove sfide che vi invitiamo a scoprire in questi 2 prossimi appuntamenti

WebinarT di presentazione
29 maggio ore 16.30
Piattaforma di videoconferenza Ampioraggio

Il programma, le novità e le opportunità della IX edizione di Jazz’inn a Campobasso dal 29 settembre al 3 ottobre 2025, tema “Territori Sostenibili” che ci accompagnerà alla X edizione “Jazz’inn Capitale 2026” a Roma.

Al WebinarT parteciperanno

  • Giovanna Ruggiero – presidente Fondazione Ampioraggio
  • Elisabetta Giacosa – presidente C.d’A Fondazione Ampioraggio
  • Guglielmo de Gennaro – presidente CTS Fondazione Ampioraggio
  • Marialuisa Forte – Sindaca Comune di Campobasso
  • Antonella Melito – consigliere e vicepresidente Commissione Innovazione Tecnologica Roma Capitale
  • Leandro Aglieri – presidente Consulta Roma Smart City Lab
Evento in Campidoglio
13 giugno 9.30 – 16.30
Sala della Protomoteca

Nella prestigiosa sede di Roma Capitale presenteremo le visioni e i percorsi che uniranno Jazz’inn 2025 a Jazz’inn Capitale 2026. In questa occasione saranno elaborate le idee che accompagneranno il percorso e presentate le iniziative e le opportunità offerte da istituzioni, aziende, territori e partner.

Candidati come case giver e vieni a cercare le idee per i tuoi investimenti

Il case giver è il vero protagonista di Jazz’Inn.

Può essere un’azienda, una startup o una PMI innovativa, una P.A., un ente locale, un centro di ricerca, un’associazione del terzo settore o un investitore alla ricerca di idee innovative per gli investimenti in programma.

Candidarsi come Case Giver proponendo la propria Challenge da discutere ai tavoli di lavoro di Jazz’Inn vuol dire avere un’intelligenza collettiva a disposizione e il tempo necessario per confrontarsi, capire e condividere le proprie idee.

Scadenza della Call: 20 giugno 2025.

Read More
campobasso-cover

Campobasso sarà la Capitale dell’Innovazione 2025

Selezionata tra 59 territori candidati, la città molisana ospiterà la IX edizione di Jazz’Inn dal 29 settembre al 3 ottobre 2025

La Fondazione Ampioraggio ha ufficialmente annunciato, durante l’evento tenutosi il 15 aprile 2025 presso il Complesso San Michele di Salerno, la sede che ospiterà la IX edizione di Jazz’Inn, il laboratorio itinerante di innovazione aperta dedicato alla crescita sostenibile dei territori: sarà Campobasso ad accogliere il format dal 29 settembre al 3 ottobre 2025.

L’annuncio è stato il culmine di un percorso partecipato avviato a fine 2024 con una call nazionale che ha visto candidarsi ben 59 territori italiani. Dopo tre fasi di selezione, sono arrivati in finale quattro protagonisti: oltre a Campobasso, anche Lecce, Colleferro e l’Unione dei Comuni Terre della Marca Senone.

A Salerno, davanti a una platea ricca di rappresentanti istituzionali e stakeholder, sono intervenuti i sindaci e le delegazioni dei territori finalisti. Con l’occasione, la Fondazione ha comunicato anche i prossimi passi dell’ecosistema Ampioraggio: i 3 finalisti saranno sede di Ampioraggio Day e Colleferro sarà anche sede dell’Assemblea dei soci di fine anno, a loro si è aggiunto il Comune di Ginosa che è rientrato tra i 10 finalisti, questi saranno i primi 4 territori che ospiteranno nel corso del 2025 i laboratori territoriali di innovazione della Fondazione, momenti di networking e confronto sui temi dell’innovazione e dello sviluppo locale nei quali animeremo un confronto tra amministratori e stakeholders sui modelli di sviluppo.

L’incontro è stato introdotto da Teresa Falco, Amministratrice Unica di Aedifica Srl, società che gestisce il Complesso San Michele. A seguire, sono intervenuti la presidente della Fondazione Giovanna Ruggiero, la presidente del C.d’A. Elisabetta Giacosa, Flavia Marzano presidente onoraria del Comitato Scientifico, l’assessore all’innovazione del Comune di Merano (sede 2024 di Jazz’inn) Nerio Zaccaria, e Antonella Melito, consigliera di Roma Capitale, che ha dato l’appuntamento al 13 giugno in Campidoglio per presentare il progetto Jazz’Inn Capitale 2026, l’idea nata nella scorsa edizione in seguito alla partecipazione della Consulta Roma Smart City Lab come case giver.

A seguire, Guido Fabbri e Giuseppe De Nicola hanno presentato le call per i case giver 2025, il tour di promozione nelle principali città italiane e le nuove opportunità per partner e sponsor, mentre alcune testimonianze hanno raccontato l’esperienza vissuta a Jazz’Inn: da Alessandro Niglio (socio e startup investor) , Fabio Streliotto (Ceo di Innova Srl ), Ciro Scamardella (socio ed esperto di PA Digitale), Agostino Lembo (InfoCert) e Nando Pintus (Ceo WIPLAB), case giver onorario della IX edizione con un progetto visionario sul metaverso sull’inferno dantesco.

È possibile rivedere la diretta integrale dell’evento sul canale ufficiale della Fondazione su YouTube a questo link

La Fondazione si prepara così a una nuova edizione che conferma Jazz’Inn come piattaforma nazionale di innovazione, relazione e contaminazione tra pubblico, privato e terzo settore.

Read More
1-uai-720×405

Presentazione nuova Capitale dell’Innovazione e prossima sede del Jazz’Inn 2025

10:00 Saluti istituzionali
  • Teresa Falco – Saluti di benvenuto (5 min)
  • Giovanna Ruggiero – Saluti, obiettivi dell’incontro e ringraziamento alla Commissione (7 min)
10:15 Introduzione alle prospettive future
  • Antonella Melito – Jazz’inn Capitale 2026: la sfida della X edizione (10 min) alle 10.20
  • Flavia Marzano – Da Pietrelcina ad oggi: il percorso di Jazz’inn (5 min) entro le 10.45
  • Elisabetta Giacosa – Presentazione nuovo CDA e obiettivi operativi (7 min)
Focus operativo
  • Guglielmo de Gennaro – Il progetto 2025 e la griglia dei servizi offerti (10 min)
11.00 Riflessioni e scenari futuri
  • Nerio Zaccaria – L’esperienza di Jazz’inn 2024 (5 min)
11.05 Le scelte per il futuro
  • Giuseppe De Nicola – I 4 finalisti, la sede 2025 e gli Ampioraggio Day (30 min)
  1.   Comune di Campobasso
  2.   Comune di Lecce
  3.   Comune di Colleferro
  4.   Unione dei Comuni della Marca Senone
11:40 Strategie e coinvolgimento
  • Guido Fabbri – La call per i case giver e il piano di comunicazione (18 min)
12.00 Testimonianze dal network Ampioraggio
  • Interventi e testimonianze di soci e partner (45 min)

Read More
testata-scenari

Il Convegno sul Data Act del 26 gennaio 2024 presso la Camera dei Deputati: la Fondazione Ampioraggio si conferma attore del cambiamento

di Paolo Maria Gangi

Avvocato con specializzazione in materia di blockchain, AI, NFT, DEFI, web 3.0, privacy, diritto d’autore e diritto delle nuove tecnologie. Svolge, altresì, l’incarico di DPO per imprese del settore ICT e dell’AI italiane e statunitensi. Membro del Blockchain Lawyers Group, dell’AI and Data Committee di ECTA (European Community Trademark Association) e di LexDAO.

Il 26 gennaio 2024 presso la splendida cornice (istituzionale, architettonica, storica) di palazzo San Macuto, un complesso facente parte della Camera dei Deputati, uno dei tanti, bellissimi angoli del centro storico di Roma, ho avuto il piacere di formulare le conclusioni del convegno sul Data Act che, nell’ambito della Fondazione Ampioraggio, ho co-organizzato insieme con Flavia Marzano, presidente del Comitato scientifico della Fondazione.

In primis, sia consentito dire (con un pizzico di orgoglio) che l’evento sul Data Act è stato il primo a essere realizzato a livello italiano, ma probabilmente anche a livello mondiale: in tal senso la Fondazione Ampioraggio si conferma attore reale e proattivo del mondo dell’innovazione e della nuova economia digitale, su cui l’Italia e l’Unione europea (“UE”) devono necessariamente arrivare ad avere posizioni non secondarie, se non si vuole rischiare la marginalizzazione economica. Dopodiché va detto che l’evento è stato reso possibile dal supporto fattivo dell’associazione tutta, a partire dalla presidente Giovanna Ruggiero, dal direttore generale Giuseppe De Nicola, nonché dalla segreteria organizzativa, nelle persone della dott.ssa Sonia Califano e del dott. Igor Scognamiglio, cui va sicuramente il più sentito ringraziamento da parte del sottoscritto e di Flavia Marzano, nella qualità di co-organizzatori dell’evento.

Il Data Act è un provvedimento giuridico pioneristico dell’UE

Il Data Act è il regolamento dell’Unione europea 2023/2854, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 dicembre 2023 ed entrato in vigore l’11 gennaio 2024, ma applicabile a partire dal 12 settembre 2025. In quanto regolamento è norma direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, come il ben noto fratello maggiore, il Regolamento europeo 2016/679 in materia di privacy, meglio noto come “GDPR”, peraltro una seniority – come si vedrà – tanto cronologica quanto normativa.

Il Data Act è un provvedimento giuridico pioneristico dell’UE, che avrà un rilevante impatto diretto nella regolamentazione dello spazio digitale europeo ma che, al tempo stesso, e dato anche il suo elevato tasso di innovatività giuridica, si porrà molto probabilmente come fonte d’ispirazione per altri ordinamenti nell’ambito della creazione di un quadro giuridico per la regolamentazione dei dati.

Il Data Act mira essenzialmente a

stabilire un quadro armonizzato che specifichi chi ha il diritto di utilizzare i dati di un prodotto o di un servizio correlato, a quali condizioni e su quale basi» (Data Act Considerando 4)

e ciò

al fine di rispondere alle necessità dell’economia digitale e di eliminare gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno dei dati» (Ibid.).

Il considerando 26 del Regolamento precisa, altresì, che

per favorire l’emergere di mercati liquidi, equi ed efficienti per i dati non personali, gli utenti dei prodotti connessi dovrebbero poter condividere i dati con altri, anche a fini commerciali, con uno sforzo giuridico e tecnico minimo.

Il Data Act, quindi, è primariamente indirizzato ai dati che vengono prodotti nell’ambito dell’internet of things (IOT), cioè dei devices connessi in rete, fornendo un quadro di garanzie per gli utenti che tali dati producono ma preservando al tempo stesso il diritto alla privacy degli interessati:

nessuna disposizione del presente regolamento dovrebbe essere applicata o interpretata in modo da ridurre o limitare il diritto alla protezione dei dati personali o il diritto alla vita privata e alla riservatezza delle comunicazioni (Considerando 7);

da ultimo, va detto che il Regolamento crea un sistema di regole che favoriscono la condivisione e la circolazione dei dati, tutelando dal punto di vista del diritto contrattuale i diritti delle varie parti coinvolte nel processo di gestione e di valorizzazione di essi (e cioè introducendo meccanismi di perequazione a fronte di disparità di forza contrattuale), oltre che sotto il profilo della tutela del diritto della privacy come visto al paragrafo precedente.

Il convegno è stato un importante momento di riflessione e di analisi su un provvedimento normativo tanto ragguardevole quanto complesso, grazie soprattutto al valore e all’apporto delle relatrici e dei relatori che – da punti di vista diversi e sulla base di competenze ed expertise differenti – hanno saputo “dissezionare” i punti rilevanti del Data Act e fornire, quindi, stimolanti considerazioni critiche al riguardo. Flavia Marzano, poi, ha egregiamente moderato la discussione, stimolando le relatrici e i relatori e coinvolgendo ripetutamente il pubblico in sala.

Di seguito, si fornirà una brevissima rassegna di quanto detto dalle varie relatrici e dai vari relatori, sulla base degli appunti che l’autore del presente articolo ha preso durante il convegno e fermo restando che nessuna delle relatrici e dei relatori ha avuto modo né di revisionare né di approvare formalmente quanto di seguito esposto: ogni errore o lacuna, quindi, va solamente ascritta agli appunti di chi scrive.

La prima relazione (cioè l’introductory speech, titolo “panoramica generale sul Data Act”) è stata dell’onorevole Beatrice Covassi, membro del Parlamento europeo ed esperta di dati digitali, che ha sottolineato la valenza orizzontale del Data Act, da leggere nel quadro di altri recenti provvedimenti normativi che hanno interessato lo spazio digitale europeo (Il Data Services Act, il Data Markets Act, e i futuri AI Act e Cyber Resilience Act). L’onorevole Covassi ha evidenziato, inoltre, l’azione innovativa della UE, rispetto agli altri grandi attori del mondo occidentale (e agli Stati Uniti, in primis), soprattutto per quanto riguarda la creazione di un quadro giuridico armonizzato dedicato allo spazio digitale e l’utilizzo costante di un metodo, in tali ambiti, sempre orientato a perseguire fini di umanesimo digitale; infine, l’onorevole Covassi ha rimarcato l’importanza di continuare sulla strada di un approccio pubblico-privato al fine di realizzare una proficua ibridazione tra cultura e competenze digitali.

A seguire, ha parlato il prof. Francesco Paolo Patti (titolo della relazione “panoramica generale sul Data Act”), associato di diritto civile presso l’Università Bocconi, che ha sottolineato come diverse norme del Data Act si pongano in un’ideale continuazione con le norme del diritto dei consumatori al fine di prevenire squilibri di mercato nell’ambito della condivisione dei dati digitali e predisponendo una capillare regolamentazione dei rapporti B2B e B2C nella condivisione dei dati; Il Data Act, inoltre, introduce (in alcuni casi) un meccanismo sul controllo dei prezzi negli accordi relativi alla condivisione dei dati e un test di abusività nelle clausole contrattuali relative ai data sharing agreements.

In seguito, il dott. Diego Ciulli, responsabile government affairs and public policy di Google Italia, (titolo della relazione “l’impatto del Data Act sull’industria digitale”), ha evidenziato che lo spirito del Data Act corrisponde a quello della filosofia corporate di Google e che il Regolamento fornisce un virtuoso meccanismo preventivo in quanto più si forniscono ad aziende come Google strumenti di portabilità e meno si verifica il rischio di essere accusati di implementare policy di lock in. Il dott. Ciulli ha, altresì sottolineato l’importanza di aver realizzato una cornice per la condivisione dei dati con la pubblica amministrazione. Permangono – a parere del dott. Ciulli – alcune criticità come una definizione forse troppo ampia di portabilità dei dati e il fatto che il Regolamento introduce divieti di trasferimento dati verso i gate keepers, sulla base della definizione di “gate keeper” fornita dal Data Markets Act, dove Google è designato gate keeper ma non ha posizioni di mercato solide nel settore del cloud; in ogni caso, sussistono criticità irrisolte nell’interoperabilità tra i dati nei vari cloud.

La relazione successiva è stata quella del dott. Federico Frontali, co-founder e CTO di Awentia, una start up innovativa italiana (titolo della relazione “l’impatto del Data Act sull’industria digitale dal punto di vista di una start up”), il cui business model si basa sulla fornitura di servizi alle imprese per la riorganizzazione, l’ottimizzazione e l’estrazione di valore dai dati ricavabili dalle immagini attraverso l’uso di sistemi di AI. Il dott. Frontali ha illustrato diversi casi di utilizzo soffermandosi, in particolare, sull’uso del sistema di AI proprietario di Awentia nell’ambito dell’industria vinicola e sottolineando come il Data Act vada visto con favore in quanto fornirà un quadro giuridico chiaro per l’uso dei dati da parte delle imprese.

La relazione seguente del prof. Salvatore Orlando, ordinario di diritto privato presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e direttore dell’istituto Jodi (titolo della relazione “Data Act e privacy”), ha illustrato come nel Data Act si abbia un esempio di norma basata sul dato e non sul prodotto (“data based e non product based”); il prof. Orlando, inoltre, ha sottolineato come il capo II del Data Act possa essere, altresì, letto come un’estensione del diritto alla portabilità dei dati di cui all’art. 20 GDPR e che nel Data Act siano contenute innumerevoli regole di soccombenza del Data Act stesso rispetto al GDPR, trattandosi, peraltro, di prevalenza effettiva in quanto il GDPR è norma imperativa e che, quindi, come tale, si traduce in un limite all’autonomia contrattuale nell’ambito della condivisione dei dati.

La successiva relazione della dott.ssa Caterina Flick, responsabile dell’ufficio affari giuridici di AGID (titolo della relazione “gli obblighi di condivisione dei dati con gli enti pubblici”) ha evidenziato come manchi, in generale, la cultura del dato e che occorra una maggiore interoperabilità tra i dati a fini generali di trasparenza; la dott.ssa Flick, inoltre, ha sottolineato che il Data Act non vuole creare nuovi diritti né disciplina la titolarità del dato e che il dato oltre che essere fornito deve poter essere fruito; infine, la dott.ssa Flick ha specificato che, se nei rapporti tra privati, prevale il contratto nei rapporti tra privato e pubblico valgono le regole giuridiche contenute negli atti normativi.

In seguito, c’è stato l’intervento della dott.ssa Giorgia Lodi, tecnologa, membro del CNR ed esperta di open data (titolo della relazione “l’interoperabilità tra i dati”), che ha evidenziato l’importanza di creare degli standard per la condivisione dei dati, facendo l’esempio del fascicolo sanitario che non si sposta da una regione all’altra. Ha, inoltre, evidenziato come le regole devono essere aperte e consultabili da tutti, nel segno dell’interoperabilità trasversale tra diversi domini: interoperabilità operativa, interoperabilità legale e interoperabilità tecnica.

L’ultima relazione è stata quella del dott. Tommaso Astazi, responsabile regulatory affairs, Blockchain for Europe (titolo della relazione “l’uso degli smart contract nella circolazione dei dati”) che si è soffermato sull’art. 36 del Data Act che, introducendo obblighi di standard minimi di cybersicurezza relativamente agli smart contract utilizzabili per i data sharing agreements, ha provocato una decisa reazione nell’ambito dell’industria dei crypto assets in quanto molti operatori del settore hanno denunciato il rischio che tale norma potesse generare dei costi di compliance eccessivi e frenare conseguentemente l’industria digitale europea. Infatti, anche se l’art. 36 è limitato ai data sharing agreements, la previsione di obblighi normativi sul «venditore di applicazioni che utilizzano contratti intelligenti» o, in sua assenza, sulla

persona la cui attività commerciale, imprenditoriale o professionale comporti l’implementazione di contratti intelligenti per altri

rischia di creare un precedente, zavorrando l’industria europea dei crypto assets a vantaggio di società e operatori residenti al di fuori dell’Unione europea.

Da ultimo, chi scrive, ha rassegnato le conclusioni del convegno, facendo il punto su quanto emerso nel corso del pomeriggio dei lavori.

Il Data Act rimane ovviamente un provvedimento normativo di estrema rilevanza la cui analisi dovrà continuare a beneficio degli operatori dell’industria digitale europea e italiana.

Read More
testata-scenari

Il prelievo del Governo sul gettito dei Fondi Interprofessionali come ostacolo alla crescita ed all’innovazione delle imprese

di Giovanni Galvan

Romano, classe 1963, un passato da informatico, esperto di formazione professionale, politiche attive e di finanziamenti da parte di Fondi pubblici. Dal 2003 si occupa di Fondi Interprofessionali. Per 12 anni funzionario di 2 Fondi, è passato poi alla consulenza per altri Fondi su aspetti tecnici e per la valutazione dei progetti.  È stato consulente per il programma GOL per la Provincia di Bolzano. È attualmente direttore di Accademia Informatica di Roma. È autore del libro “I Fondi Interprofessionali cosa sono, cosa offrono e come funzionano” pubblicato da Franco Angeli.

Da quanto sono nati i Fondi Interprofessionali paritetici per la formazione continua nel 2003, sono stati numerosi gli “attentati” dei Governi ai loro budget, già non particolarmente ricchi, sia per ottenere risorse per le politiche passive del lavoro (molto popolari in politica) sia per ottenere risorse e basta.

I 19 Fondi attualmente operativi, incassano circa 800 milioni / anno.

Partiamo dal fatto che i Fondi possono gestire, su scelta delle imprese, lo 0,30% sul monte retribuzioni, versato dai datori di lavoro, che assomma mediamente a 50 euro / anno a lavoratore. Allo stato attuale, si calcola che tutti i 19 Fondi attualmente operativi, incassino circa 800 milioni / anno. Ecco cosa hanno fatto i Governi per “incentivare” questo strumento negli ultimi 20 anni.

Nel 2004 il Ministro Tremonti ridusse lo 0,30% allo 0,10% per pagare la Cassa Integrazione in deroga.

Nel 2013 il Governo Letta decise di prelevare 246 milioni dal gettito 0,30% a quel momento incassato dall’INPS e non ancora erogato ai Fondi Interprofessionali, sempre per finanziare la Cassa Integrazione in Deroga.

Almeno comunque erano fondi per le politiche del lavoro, sia pure passive, ma la cosa più triste è che si è trattato di una goccia nel mare in quanto si sono coperte solo in parte le casse integrazioni che “divorano” ben altre cifre.

Altre iniziative governative che fanno riflettere su quanto la politica creda alla formazione come strumento di crescita di imprese e lavoratori sono state quelle, entrambe fallite fortunatamente, del Governo “Conte 1” quali “Quota 100”  finanziata

in attesa della riforma dei Fondi di solidarietà bilaterali di settore

anche mediante l’erogazione di prestazioni previdenziali integrative finanziate con i fondi interprofessionali

e persino il Reddito di Cittadinanza dove

il Patto di formazione può essere altresì stipulato dai fondi paritetici interprofessionali

attraverso specifici avvisi pubblici previa intesa in sede di Conferenza unificata – Stato / Regioni / Parti Sociali.

Nel 2020 i Fondi sono coinvolti nel Fondo Nuove Competenze (Governo Conte 2) sia come soggetti che contribuiscono al Fondo stesso, cosa non verificatasi, sia come soggetti cofinanziatori dei progetti approvati dall’ANPAL, e qui almeno si tratta di formazione continua.

La cosa più grave però è il decreto del 2014 del Governo Renzi, che rende stabile il cosiddetto “prelievo forzoso” di 120 Milioni l’anno dal gettito dei Fondi Interprofessionali, dal 2016 per fini non legati a politiche del lavoro (né attive né passive).

Su quest’ultimo, che assomma quasi al il 20% del totale, c’è da anni una richiesta di abolizione da parte di imprese, lavoratori ed operatori del settore formazione. Nel 2021 – 2023 i Governi hanno restituito la cifra a patto che i Fondi ci finanziassero formazione anche a disoccupati e cassintegrati. A fronte di questo impegno, la cifra sarebbe stata sbloccata “a piè di lista”, cosa avvenuta parzialmente, anche se comunque è del tutto insufficiente a coprire il fabbisogno per queste categorie. Inoltre, i Fondi non sono organizzativamente e statutariamente attrezzati per gestire anche lavoratori non occupati.

Si registra la diponibilità del Governo a restituire il “prelievo forzoso”

Si registra però in questi giorni (marzo 2024) una disponibilità del Governo per rivedere queste scelte restituendo, da quest’anno e in via strutturale, il “prelievo forzoso”, dall’altro prevedendo un regime Iva di miglior favore per il settore della formazione.

In tutto questo, stiamo parlando di risorse che in questo momento servono più di 1 milione di imprese e circa 10 milioni di lavoratori. Come si fa, con queste incertezze, unite a tutta una serie di altre complessità del sistema (a partire dalla presenza di 19 Fondi) a garantire alle imprese il supporto sufficiente a far si che l’innovazione sia supportata da una formazione aggiornata e professionale?

Ci si augura quindi che a breve venga rivista tutta la normativa del settore, togliendo le “contaminazioni” con le politiche passive, che necessitano di ben altre risorse e soprattutto di un quadro legislativo ad hoc, aumentando la quota dello 0.30% (in Francia siamo al 1,6%), razionalizzando il sistema dei Fondi ed aprendo la formazione a sistemi di accesso più semplici, quali il voucher e l’e-Learning.

Read More
testata-scenari

ACCANTO – nuove traiettorie di sviluppo locale attraverso l’ascolto dei principali attori pubblici e privati

di Giulia Fabrizi

Almar Quality Research

Ricercatrice qualitativa, Psicologa, fondatrice di Almar Quality Research, un Istituto di Ricerche Sociali e di Marketing, con sede a Milano. Orgogliosa socia di Ampioraggio, Fondazione di Partecipazione dal 2022.

Martedì 7 Novembre si è tenuto l’incontro organizzato da LegaCoop al Teatro La Cucina, ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini.

Un ambiente insolito, in grado di creare un certo impatto emotivo: l’evento si è svolto dove per tanti anni è stata attiva la cucina dell’Ospedale psichiatrico, trasformata negli anni in spazio multifunzionale, da cucina di Masterchef, a teatro, a luogo di aggregazione dei ragazzi del quartiere.

Un luogo magico, dove creatività, grazie al desiderio delle persone di cooperare, condividere e sensibilità, nel trattare temi legati alle fragilità, come si addice al luogo, si uniscono per dar vita a qualcosa di nuovo e di straordinario.

L’obiettivo è valorizzare il ruolo dei privati nei processi di sviluppo locale

Come da programma, la giornata aveva lo scopo di far incontrare il pubblico e il privato, a livello nazionale e territoriale per definire politiche, azioni innovative e concrete di sviluppo locale.

L’obiettivo è di valorizzare il ruolo dei privati per attivare esperienze in sinergia con gli enti locali, nei processi di sviluppo locale. Avviare un percorso partecipato, al fine di condividere idee, progetti e attività con una visione mutualistica e generativa, da mettere al servizio delle comunità locali.

Prima di avviare i tavoli, abbiamo attentamente seguito le ispirazioni e gli stimoli alla riflessione proposti dall’Architetto Stefano Boeri, su questi temi: climate change, transizione ecologica, edilizia sociale, educazione (molto interessante le idee su una ‘scuola aperta’), recupero dei Borghi (con l’intento, tra le altre idee, di ‘riabitare’ i Borghi e di creare un patto/scambio tra città e borghi).

Subito dopo è intervenuto il Professore Luigi Corvo dell’Università Bicocca di Milano, che ha sottolineato come l’innovazione sociale possa nascere quando si lotta contro la legalità, citando gli esempi di Maria Montessori e di Enrico Basaglia che non hanno temuto e non hanno assunto come limite la barriera o la frontiera della legalità per portare avanti i loro progetti rivoluzionari e che hanno avuto una forte ripercussione a livello sociale.

Entrambe le presentazioni hanno portato a sottolineare l’importanza dell’esistenza di ‘meccanismi ecosistemici’ che dal basso verso l’alto possano provocare dei cambiamenti sistemici e un impatto che deve essere misurabile.

Impatto: la parola chiave nel nostro agire per un futuro sostenibile. Quindi è sempre più urgente cambiare la domanda ‘quanto profitto fai?’ e trasformarla in ‘che impatto generi?’

6 tematiche di confronto

A questo punto un centinaio di persone si sono ritrovate a confrontarsi intorno ai seguenti sei argomenti, in altrettanti tavoli, disposti in varie aree della ‘cucina’:

  1. Beni Comuni
  2. Borghi e Cultura
  3. Cura del Territorio
  4. Rigenerazione
  5. Sanità
  6. Turismo

C’è stata molta partecipazione intorno a ciascun tavolo e vorrei tentare una sintesi delle tematiche comuni emerse tra i vari tavoli:

  • Occorre un modello cooperativo, con dei codici e delle linee guida, un ecosistema dove la diversità è un valore aggiunto mentre l’obiettivo deve essere unico, condiviso da tutti, un luogo dove ci siano scambi monetari ma anche di talenti, di tempo, di interessi, tra pubblico e privato, con un approccio multisistemico (ed anche multidimensionale – montagna-pianura, città-periferie – e multisettoriale);
  • Puntare alla cooperazione come tassello importante per le sfide sistemiche e globali: le cooperative, essendo sul territorio, hanno un ruolo cruciale nel creare coesione sociale, nell’intervenire all’interno della comunità e avviare momenti di co-progettazione. E’ stato spesso citato l’operatore di prossimità, che può costruire relazioni di fiducia avvicinandosi ai giovani che si ritrovano spontaneamente nelle strade, nelle piazze, nei parchi, nelle scuole, ecc.;
  • Fornire supporti ai Comuni con percorsi di formazione e sessioni di Coaching su come gestire le risorse del luogo, i giovani, le startup, le imprese, ecc. fornendo esperienze concrete e best practice. Serve un accompagnamento ai Comuni dove ci sia difficoltà a creare un impatto, adottando un approccio personalizzato e flessibile, rispettando l’identità del luogo;
  • Formazione e Ricerca dovrebbero andare di pari passo, in modo da monitorare e prevenire i fenomeni ed intervenire con la Formazione. Servirebbe anche un’analisi continuativa dei flussi turistici che spesso sono difficili da intercettare;
  • Prevedere collegamenti tra Borghi e Comuni o Città più o meno limitrofi, per creare una rete utile per lo scambio di idee, ispirazioni così da promuovere sia il benessere delle comunità sia il turismo, che deve sempre più procedere su due binari, quello umanistico e quello tecnologico in modo da proporre esperienze, in vero stile italiano, per favorire un ‘turismo durevole’ (come dicono i francesi), un turista permanente, che racconti come ha trascorso il suo tempo libero partecipando attivamente alla vita del Borgo e alle iniziative proposte, secondo le logiche dello story doing o story living;
  • Intervenire sul territorio e sulle comunità: conoscere il territorio, la memoria storica, il contesto, la cultura, la popolazione, considerando le ‘aree interne’ come volano per l’innovazione e lo sviluppo, co-progettare e programmare progetti di comunità e di valorizzazione delle risorse. Favorire la partecipazione della gente del luogo per fare esprimere i propri pareri su tutti i temi importanti per la comunità;
  • Mappare luci ed ombre del pubblico e del privato, individuare gli aspetti positivi e negativi degli investimenti così da valutare meglio le proposte per i modelli di gestione dei beni comuni. Le imprese potrebbero fornire risorse attraverso i bilanci di sostenibilità e favorire l’imprenditorialità e l’occupazione di chi resta nel territorio, in maniera sostenibile;
  • Trovare un linguaggio comune tra pubblico e privato: serve un modo di dialogare più semplice, chiaro e diretto per poter programmare, co-progettare con i vari stakeholder, soprattutto quando si vogliono coinvolgere i giovani;
  • Avere cura per il territorio: occorre pensare sia ai temi delle disuguaglianze e delle fragilità di chi vive in piccole comunità, sia ai fenomeni dell’abbandono e dello spopolamento, così da intervenire possibilmente in maniera preventiva ed anche sostenibile;
  • Ricordarsi che serve tempo per arrivare a dei risultati, occorre avere pazienza e fissare appuntamenti a medio-lungo termine;
  • Anche la continuità è un elemento da tenere sempre in considerazione, servirebbe un tavolo permanente, per una osservazione continuativa dei fenomeni sociali e territoriali;

La sostenibilità è un percorso che coinvolge in primo luogo la persona e va affrontato in compagnia, con un ecosistema ben strutturato, passo dopo passo, in maniera continuativa.

La partecipazione di Fondazione Ampioraggio al tavolo Borghi e Cultura

Con il cappello di Socia di Fondazione Ampioraggio ho partecipato al tavolo Borghi e Cultura dove ho portato l’esempio della Fondazione di Partecipazione Ampioraggio, il cui ecosistema si avvale delle competenze specifiche di 100 soci.

Ho spiegato che Ampioraggio organizza da più di 7 anni l’evento Jazz’Inn della durata di 5 giorni, coinvolgendo Borghi o piccoli comuni, quelli più difficili da raggiungere, e li trasforma in capitali dell’innovazione per qualche giorno, durante i quali i diversi attori (Amministrazioni, startup, ricercatori, enti pubblici e privati, ecc. provenienti da tutta Italia), portano idee innovative sul territorio, confrontandosi su temi di interesse dei proponenti (o case giver).

Ampioraggio propone anche giornate di immersione in singoli territori, gli Ampioraggio Day, per analizzare e comprendere le reali problematiche del luogo specifico, dialogando con i diversi stakeholder in modo da cogliere i punti di forza e le criticità e proporre iniziative per interventi mirati e sostenibili.

Quello che mi colpisce ogni volta in Ampioraggio è scoprire quanti Sindaci ed Amministratori ‘illuminati’ ed appassionati del proprio territorio esistano: sono in continua ricerca di idee innovative per sviluppare il proprio territorio e valorizzarne le risorse, affidandosi a chi ha esperienza.

Dagli esempi concreti di Best e anche di Worst Practice, l’ecosistema Ampioraggio interviene in maniera propositiva sul territorio con l’obiettivo di portare benessere alla comunità che ci vive, cercando di contrastare il fenomeno dello spopolamento e puntando alla valorizzazione delle risorse e dei beni materiali ed immateriali che spesso neppure i residenti ne conoscono o riconoscono il valore e che costituiscono le eccellenze italiane da far conoscere sia in Italia che all’estero.

In Ampioraggio si ‘parte dal basso’ per conoscere le esigenze e i desideri della comunità (anche attraverso indagini etnografiche per comprendere come si svolge la reale vita di una comunità) e si interpellano tutti gli stakeholder più rilevanti e attivamente coinvolti nel perseguire iniziative ed attività proposte dall’ecosistema per introdurre nuove competenze, migliorare la vita della comunità e rendere il borgo un luogo piacevole in cui vivere ed in cui attirare persone a trascorrere vacanze o a permanere per più o meno tempo, anche in periodi destagionalizzati.

Serve un nuovo modello in base alle criticità

Nella tavola rotonda finale si è ribadita l’importanza, come ha sottolineato Antonella Galdi, Vice Segretaria Generale ANCI, del partenariato tra pubblico e privato, “ci si salva lavorando insieme utilizzando un linguaggio comune”.

Serve un nuovo modello in base alle criticità, delle regole che portino alla semplificazione dei processi e all’innovazione, tempi più dilatati e non più assurdi e più competenze di base, a partire da quelle digitali.

Le parole di Lino Gentile, delegato ANCI per le Aree Interne e Sindaco di Castel del Giudice in provincia di Isernia, un piccolo comune di 320 abitanti, sono state molto utili per ricordare che il 60% dei piccoli comuni è silente, nonostante tutte le risorse disponibili ed ha ribadito l’importanza di sfruttare questi luoghi per ‘laboratori a cielo aperto’, dove sperimentare, innovare, perché in questi luoghi il processo può essere facilmente seguito e controllato passo dopo passo.

Inoltre nel suo comune si è realizzata una scuola grazie all’intervento di 25 cittadini come soci-investitori; altri 75 cittadini gestiscono gli orti per la produzione di luppolo e di orzo.

Il Sindaco ha anche parlato di capitale affettivo, che si concretizza quando le persone che se ne vanno continuano a desiderare il benessere della propria terra di origine e, quando queste persone hanno successo altrove poi investono nei luoghi delle loro radici.

‘Accanto’, avverbio di luogo, ben esprime la posizione in cui dobbiamo porci come ecosistema, nell’essere vicini, al fianco e di lato per accompagnare le Amministrazioni, le comunità, ed anche il privato, nell’intraprendere un dialogo comune per il bene delle piccole, ma ai nostri occhi, grandi, realtà italiane.

Read More
testata-scenari

L’esperienza dell’Ampioraggio Day in Trentino: occasione di confronto sulle tematiche di innovazione e sviluppo

di Guido Feller

Gruppo Azimut

Dal 2012 è nel Gruppo Azimut come Head of Wealth Planning. Ha lavorato nel Gruppo Banca Esperia nel ruolo di Partner, come Managing Director Wealth Planning ed ha svolto l’incarico di Amministratore Delegato di Esperia Servizi Fiduciari e Amministratore Delegato di Esperia Trust. È stato Partner di Accenture, sviluppando la consulenza in Italia nelle istituzioni bancarie e finanziarie in cui ha ricoperto la carica di membro del Consiglio di Amministrazione dell’entità italiana. Professore a Contratto dal 2008 presso l’Università di Trento. È iscritto all’Albo dei Dottori Commercialisti di Milano e dei Revisori Legali. Esperto di Family Business: membro del gruppo di interesse Family Business di Step Italia (Society of Trustees and Estate Practitioners) e della Commissione Wealth Planning dell’Ordine dei Commercialisti di Milano. Membro del CdA e collegi sindacali di imprese a carattere familiare e consulente di Family Business nel Gruppo Azimut.

Lo scorso 11 e 12 Maggio Fondazione Ampioraggio ha fatto tappa per la prima volta in Trentino con un trittico di incontri tra Università di Trento (Trento – 11 maggio pomeriggio), Trentino Sviluppo (Rovereto – 12 maggio mattina) e Mart (Rovereto – 12 maggio pomeriggio).

Un incontro che come membro del Comitato Scientifico di Ampioraggio e docente presso l’Università di Trento ho fortemente voluto per far incontrare i 2 ecosistemi e scoprire le esperienze di innovazione nei rispettivi campi d’azione.

Il Trentino ha sviluppato un interessante ed avanzato ecosistema per l’innovazione e lo sviluppo digitale con una appassionata attenzione al territorio ed alla sostenibilità ambientale.

Questo ecosistema, governato dalla Provincia Autonoma di Trento, comprende l’Università, Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Edmund Mach, Trentino Sviluppo, con il progetto Manifattura ed il Polo della Meccatronica, oltre a HIT (Hub Innovazione Trentino) e Il nodo italiano dell’Eit Digital.

11 maggio – pomeriggio Università di Trento (Economia e Management)

L’incontro introdotto dal prof. Alessandro Rossi, Delegato dal Rettore per l’Innovazione e il supporto al sistema produttivo, ha consentito di conoscere il modello di sviluppo delle competenze fra università ed ecosistema trentino per l’innovazione e conoscere l’organizzazione della ricerca scientifica a livello interdipartimentale.

Ho poi presentato personalmente la storia ed il percorso attraverso il quale si è sviluppato l’ecosistema trentino nell’arco di circa 60 anni.

All’incontro è intervenuto anche Francesco Buffa, CEO di Alps Blockchain, startup che si occupa della rivitalizzazione e recupero delle piccole centrali idroelettriche abbandonate per alimentare potenza di calcolo sulla blockchain. Francesco ha narrato questa incredibile storia di una startup che ha già raggiunto importanti risultati e ambisce ad un successo del suo modello applicato su scala globale.

Flavia Marzano, Giuseppe De Nicola e diversi soci della Fondazione, che ci hanno raggiunti come sempre da diverse aree del Paese, hanno poi completato l’incontro presentando l’ecosistema e le proprie attività.

12 maggio – mattina Trentino Sviluppo

Trentino Sviluppo Spa rappresenta il braccio operativo della Provincia Autonoma di Trento nel campo della innovazione applicata alle imprese; essa costituisce uno dei perni dell’ecosistema citato sopra con un incubatore da 40 startup, un network di un centinaio di imprese, 50 milioni di Euro di fatturato anno ed un miliardo di Euro circa di attivo patrimoniale.

La dottoressa Romina Falagiarda ha illustrato storia e situazione attuale del gruppo, che opera anche con una società che cura il marketing territoriale ed altre unità che vanno dall’immobiliare ai servizi per la comunità.

Da questa base è poi scaturito un approfondito dibattito per esplorare le possibilità di replicare le esperienze di Trentino Sviluppo altrove e sviluppare sinergie con l’ecosistema Ampioraggio per esplorare possibilità di sviluppo condivise anche in un’ottica di coesione territoriale nazionale.

La mattinata si è conclusa con la visita della storica Manifattura Tabacchi, area industriale dismessa e recuperata per allestire spazi di lavoro, per imprese innovative e startup, con avanzati criteri ecosostenibili.

12 maggio – pomeriggio Mart

Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (Mart) è stato il terzo appuntamento con l’ecosistema locale.

La dottoressa Annalisa Casagrande ha presentato il percorso di fondazione e crescita del Mart e la sua organizzazione, con i programmi di ulteriore sviluppo.

Il Presidente Vittorio Sgarbi ha portato il suo saluto in video condividendo un interessante scambio di punti di vista sul recupero dei borghi italiani che, in chiave Jazz’Inn 23, potrebbe vedere coinvolto anche il comune di Arpino, di cui è diventato sindaco di recente e dove ci ha invitato ad organizzare un’iniziativa della Fondazione

Il pomeriggio è stato poi dedicato ad un brainstorming interno alla Fondazione in vista dei prossimi appuntamenti e si è concluso con una visita guidata alla mostra su Gustav Klimt che ha chiuso il programma.

La mia sintesi

In sintesi, abbiamo fatto conoscenza di casi di eccellenza da imitare, sia pure con i dovuti adattamenti ad ogni singolo ambiente locale ed alle risorse disponibili.

È stato importante conoscere un ecosistema ed un approccio allo sviluppo dell’innovazione direttamente applicata all’impresa, su un territorio particolarmente sfidante sotto l’aspetto del rispetto per l’ambiente, dove si declina al meglio la proposizione “digitale fa rima con ambientale”.

Personalmente lo ritengo solo un inizio, un’esperienza da replicare per programmare nuovi incontri in Trentino e nel Nord Italia per far conoscere le esperienze di Ampioraggio e per arricchire la Fondazione delle esperienze locali in modo da assimilarle e divulgarle su tutto il territorio nazionale, nel rispetto della nostra missione di portare l’innovazione ovunque.

Read More
testata-scenari

Open Innovation Procurement: un nuovo paradigma per gli appalti pubblici

di Guglielmo de Gennaro

Public procurement and innovation purchases Manager – Area “Innovation of ​​the Public Administration” – Agenzia per l’Italia Digitale

Esperto nel settore degli appalti per l’innovazione e la sostenibilità, coltiva l’ibridazione dell’Open Innovation e degli appalti pubblici nel perseguimento di un nuovo paradigma relazionale tra gli attori del mercato della domanda e dell’offerta che porta al superamento degli attuali conflitti che causano inefficienza e inefficacia nell’acquisto procedure. È nato come giurista ma vive di cambiamento e di contaminazione della conoscenza attraverso un percorso di lavoro trasversale che, passando attraverso vari ruoli nella Pubblica Amministrazione, prima in campo militare e poi civile, che è stato accompagnato da esperienze nel settore forense, imprenditoriale, didattico, lo porta ad affrontare i temi dell’innovazione e della sostenibilità con una visione adeguata per la ricerca di soluzioni strutturali e di sistema.

Qualche tempo fa un mio amico decise di dimagrire e pensò che comprare nuovi strumenti da cucina che promettessero una cottura dietetica fosse la soluzione, per cui si recò al centro commerciale vicino la propria abitazione e, con il supporto dell’addetto vendite del negozio di elettrodomestici, che gli spiegò nel dettaglio le caratteristiche tecniche ed il funzionamento delle apparecchiature top di gamma, comprò gli ultimi modelli offerti dal mercato, digitali, ecofrendly e connessi ad internet.

Tornato a casa, con grande entusiasmo e convinzione, provvide subito all’istallazione dei nuovi elettrodomestici e dedicò gran tempo alla lettura dei manuali d’uso per capirne a fondo il funzionamento. Il giorno dopo ne iniziò l’utilizzo ma … non cambiò il suo modo di cucinare, di condire gli alimenti, di fare la spesa, di vivere la sua giornata. Con sua grande sorpresa, dopo due mesi di uso costante e meticoloso delle nuove apparecchiature, non era neanche minimamente dimagrito.

Decise, quindi, di rivolgersi ad un ambulatorio medico specializzato e, ad un’equipe multidisciplinare, spiegò, con dovizia di dettagli, quali fossero le sue abitudini di vita ed alimentari ed i suoi obiettivi di miglioramento. Il team, sulla base delle esigenze evidenziate, anche a seguito di una serie di analisi e test, progettò per lui una dieta personalizzata ed un programma di attività fisiche da svolgere sotto la guida di un professionista.

Sulla base delle indicazioni ricevute incominciò ad acquistare gli alimenti riuscendo a spiegare al venditore esattamente il tipo di prodotto che cercava in ragione dell’apporto nutrizionale. Poi si rivolse ad un personal trainer, a cui presentò il programma predisposto dall’equipe multidisciplinare e con cui valutò come attuarlo. Anche recandosi al ristorante prese l’abitudine di spiegare al cameriere cosa poteva e non poteva mangiare, vedendo sempre soddisfatte le sue richieste.

Dopo solo un mese di questo nuovo stile di vita, con sua grande sorpresa, riuscì a raggiungere tutti gli obiettivi prefissati e scoprì di poter proseguire sulla strada del miglioramento.

 

Più digitalizzazione, più affidamenti diretti, più … più … più …

Dopo questa breve digressione parliamo di appalti. Come probabilmente saprete, il tanto vituperato Codice dei Contratti Pubblici, contenuto nel Decreto Legislativo n. 50 del 16 aprile 2016, dopo appena sette anni di vita, infiniti rimaneggiamenti, deroghe e correttivi, verrà definitivamente sostituito, a partire dal prossimo 1 luglio, dal nuovo, sfavillante e super performante testo unico di cui al Decreto Legislativo n. 36 del 21 marzo 2023.

Più digitalizzazione, più affidamenti diretti, più … più … più … ed anche sempre tanti detrattori, proprio così, perché neanche abbiamo iniziato ad utilizzarlo e le fazioni del pro e del contro hanno ripreso la loro disfida. Ma allora, se neanche questo nuovo strumento giuridico è riuscito a mettere tutti d’accordo, si riuscirà almeno, con esso, a rendere più efficaci ed efficienti gli appalti pubblici in modo da soddisfare le esigenze sottese e dispiegare il loro potenziale quale leva di politica industriale e di volano dell’economia nazionale? O ancora una volta, a prescindere dalla qualità delle procedure disegnate, ci si impantanerà nelle sabbie mobili di un’interpretazione strumentale al perpetrarsi di un paradigma relazionale patologico che lega domanda pubblica ed offerta di mercato?

Il paradigma relazionale vede le parti contrapposte

Il paradigma relazionale, la contrapposizione tra le parti del gioco, questo è il vero problema che impedisce agli appalti di esprimere ciò che sono in potenza. Le procedure, infatti, sono sempre perfettibili e, in quanto oggetto di norme di legge, soggette a 148 possibili interpretazioni diverse, come insegna la Filosofia del Diritto, a prescindere dalla qualità della tecnica normativa adottata. Esattamente per questa ragione pensare di risolvere le problematiche di efficienza ed efficacia degli appalti esclusivamente riscrivendo i processi di acquisto è come seguire l’approccio iniziale adottato dal mio amico e pensare di dimagrire solo comprando strumenti di cottura all’avanguardia, ma senza cambiare i propri comportamenti.

Il paradigma relazionale oggi esistente vede, come si diceva, le parti contrapposte; gli acquirenti pubblici, spesso buttati allo sbaraglio senza un adeguato percorso di formazione, promosso dalla Pubblica Amministrazione, sulle novità normative, si trovano a svolgere le funzioni di RUP (sottopagato) adottando, inevitabilmente, un comportamento difensivo che si tramuta in un percorso guidato dai bias della propria esperienza, verso la ripetizione di acquisti di soluzioni conosciute, a prescindere dalla loro capacità di soddisfare il bisogno, e, sempre, attraverso processi procedurali collaudati, anche oltre la loro adeguatezza alla tipologia d’acquisto e alla normativa esistente, per asserragliarsi dietro un approccio burocraticamente rassicurante.

Dall’altro lato gli operatori, diffidenti nei confronti di tale approccio, che vivono come un gioco ad eliminazione alla moda coreana di “Squid Game”, dove il RUP è l’entità oscura e sadica del gioco, che prova piacere nel vederli soccombere, si preparano à la guerre comme à la guerre, pronti ad attaccare i propri concorrenti e la stazione appaltante a suon di diffide, segnalazioni, ricorsi, denunce, etc.

Questo gioco delle parti, caratterizzato dalla mancanza di comunicazione e, quindi, dall’informazione incompleta, diventa un gioco a somma negativa, dove tutti ottengono un risultato inferiore a quello che avrebbero potuto ottenere anche, semplicemente, con una corretta e sana competizione.

 

Le Direttive europee hanno introdotto la Consultazione preliminare di mercato

Ma allora, possiamo “dimagrire”, seguendo l’esempio del mio amico, condividendo informazioni, progettando il percorso e cambiando approccio? Sicuramente sì! E con lo stesso piacevole sbigottimento che ha invaso lui scopriremo non solo come ciò sia possibile ma anche che lo sia ad invarianza degli strumenti normativi.

Le Direttive europee “appalti e concessioni” del 2014, infatti, il cui recepimento è stato attuato in Italia già con il D.Lgs. 50/2016 ed ora con il D.Lgs. 36/2023, hanno introdotto un istituto giuridico che può rappresentare la chiave di volta del cambiamento necessario, ossia la Consultazione preliminare di mercato.

Con tale istituto procedimentale è possibile istaurare un dialogo tra la stazione appaltante e gli operatori di mercato atto a ridurre l’asimmetria informativa che separa, bidirezionalmente, le parti in quanto, la prima ha una conoscenza estremamente finita delle soluzioni che il mercato può offrire e delle sue potenzialità di innovazione, mentre i secondi non conoscono realmente l’esigenza della Pubblica Amministrazione committente, essendo la loro conoscenza limitata alla descrizione, distorta dai bias esperienziali dell’acquirente, degli elementi comunicati.

L’esempio utile da emulare è quello dell’Open Innovation

Anche in questo caso, però, non è la previsione normativa in sé che può portare al superamento delle problematiche esistenti, ma l’uso che di essa se ne può fare. Perché ciò sia possibile si deve uscir fuori dalla rigidità formale della comunicazione tra gli attori del sistema ed adottare un approccio inclusivo, aperto, collaborativo, basato su un linguaggio semplice e diretto, avvalendosi di strumenti che facilitino il networking, la comunicazione, la partecipazione. L’esempio utile da emulare è quello dell’Open Innovation attraverso una declinazione di tale paradigma nel framework normativo degli appalti che consenta, non solo il rispetto dei principi da esso previsti, ma la trasformazione degli oneri di trasparenza e pubblicità come valore aggiunto per un processo apoditticamente aperto. Verrebbe, infatti, da chiedersi se i processi di Open Innovation B2B siano realmente aperti, considerando che il soggetto che li avvia, quasi sempre, coinvolge un numero ristretto di operatori individuati a suo piacimento, sia pur sulla base di requisiti tecnici previamente determinati. Nel contesto di quello che, a partir da ora chiameremo, Open Innovation Procurement è possibile fare di necessità virtù, per cui, se la partecipazione aperta è espressione del principio di parità di trattamento di tutti i potenziali concorrenti, in un contesto caratterizzato dalla necessità prioritaria di eliminare l’asimmetria esistente attraverso il confronto tra la stazione appaltante ed il maggior numero di operatori, il rispetto di tale principio normativo diventa il valore aggiunto del processo consentendo di raggiungere l’obiettivo prefisso, prima della pubblicazione della gara, con un elevato grado di certezza su quelli che saranno gli esiti di quest’ultima in termini di partecipazione, grado di innovazione e efficacia/efficienza dell’acquisto che verrà fatto.

È generare in esso un cambiamento nelle prospettive di risposta

Strumento per il raggiungimento di tale apertura, anzitutto, e ulteriore trasformazione di oneri normativi in valore aggiunto viene dal rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità. Pur non essendo previsti obblighi di pubblicità legale per le Consultazioni di mercato riuscire a diffondere quanto più possibile la conoscenza della finestra di dialogo aperta è fondamentale per la buona riuscita dell’attività. Per far ciò non ci si può limitare a strumenti di pubblicità canonici ma ci si deve avvalere di canali di comunicazione che consentano una maggiore capillarizzazione e una prossimità di linguaggio maggiore con i soggetti, come ad esempio Startup e PMI, che, avulsi dall’abituale mercato dell’offerta verso la Pubblica Amministrazione, possano generare in esso un cambiamento nelle prospettive di risposta. La comunicazione deve quindi divenire un’onda virtuale che deve portare i più capaci navigatori del web sulle nostre sponde e, quindi, deve avvalersi dei social networks, di siti web dedicati, di news letters, etc.

Anche la gestione del dialogo, poi, deve essere gestita attraverso strumenti altrettanto inclusivi, partecipativi, adeguati alla comunicazione che ha portato gli operatori ad avvicinarsi a noi ed ai nostri processi, per cui, partendo dal presupposto che la Consultazione di mercato non si esaurisce in uno o più momenti di incontro, ma che consista in un periodo durante il quale i confronto debba rimanere aperto ed attivo, ci deve avvalere di piattaforma di collaborazione che faciliti il netrworking, attraverso cui creare vere community dove far germogliare il seme della cooperazione ed del cambiamento. In tale incubatore, adeguatamente facilitate dalla stazione appaltante, che si trasforma in un Innovation Broker, possono trovare così la loro reale dimensione quelle dinamiche di Open Innovation che rappresentano il presupposto per l’efficientamento dei nostri acquisti e che genereranno, tra gli operatori, collaborazioni che andranno oltre la semplice finalizzazione del singolo procedimento da noi avviato per rappresentare sull’humus sul quale attecchiranno i nostri successivi processi che da ciò saranno evidentemente facilitati.

Read More
testata-scenari

Apprendere e comprendere per nuove visioni e nuove soluzioni

di Flavia Marzano

Link Campus UniversityLink Campus University

Presidente CTS della Fondazione e consulente per la Pubblica Amministrazione sull’innovazione; Fondatrice ed ex Presidente di Stati Generali dell’Innovazione. Assessora a Roma Capitale per la smart city dal giugno 2016 al settembre 2019. Fondatrice del gruppo WISTER (Women for Inclusive and Smart TERritories)

Il 24 e il 25 Marzo 2023 presso Il Museo Naturalistico del Territorio “Giovanni Pusceddu” a Lunamatrona (VS), la Fondazione Ampioraggio in collaborazione con l’Unione di Comuni Marmilla terrà il primo Ampioraggio Day con l’obiettivo definire un modello di sviluppo partecipato del territorio lavorando su 3 macro temi integrati:

  1. Consapevolezza digitale: ridurre il divario digitale e trasformare le tecnologie in una leva di sviluppo, accrescendo le competenze di cittadini, imprenditori e amministratori;
  2. Filiere d’impresa: trasformare vocazioni e potenzialità del territorio in un sistema integrato di imprenditoria territoriale, sociale e profit, in grado di fare sistema;
  3. Social Heritage: sviluppare competenze e attitudini di cittadini e associazioni indirizzate a processi innovativi di crescita condivisa.

Di seguito l’intervista al direttore della Fondazione Ampioraggio Giuseppe De Nicola e a Marco Pisanu, Sindaco di Siddi e presidente dell’Unione dei Comuni della Marmilla.

Il direttore ci offre un quadro sintetico di chi siamo, che cosa facciamo e perché.

Che cosa è la Fondazione Ampioraggio?

Ampioraggio è una Fondazione di partecipazione, riconosciuta giuridicamente dal 2022 e attiva dal 2016, che ha creato un ecosistema nazionale di innovatori con l’obiettivo di ridurre le distanze tra domanda e offerta di innovazione valorizzando l’intelligenza collettiva dei soci come leva per divulgare modelli di sviluppo sostenibile nelle aziende e nella pubblica amministrazione centrale e locale. Il nostro obiettivo è favorire l’utilizzo efficace delle risorse disponibili per trasformare la spesa in investimenti di lungo periodo con risultati misurabili

Che cosa sono gli Ampioraggio Days?

Gli Ampioraggio Days sono laboratori d’innovazione territoriali attraverso i quali la Fondazione organizza confronti diretti con le comunità e gli stakeholder per co-progettare azioni integrate di rilancio e rigenerazione attraverso incontri tra i soci della Fondazione e gruppi di attori locali. Lo scopo di questi laboratori e contaminare i territori con visioni e modelli innovativi e raccogliere indicazioni sulle potenzialità delle aree e le motivazioni delle persone per provare a generare nuove iniziative

Durante questi incontri in Marmilla ci saranno “Open Talk e Living Lab”: come si svilupperanno gli incontri?

La struttura degli Ampioraggio Days è basata su 2 attività che si svolgono in parallelo, precedute da incontri on-line tra i membri del team Ampioraggio e gli attori locali. Gli open talk sono confronti pubblici tra partner e soci della Fondazione con stakeholder istituzionali (amministratori pubblici, Fondazioni, Enti e Agenzie di sviluppo, etc.) su tematiche specifiche. I living lab, che si svolgono in parallelo, prevedono attività di coaching e formazione con gruppi di cittadini interessati sia a creare nuove iniziative che far crescere le attività esistenti o apprendere nuove competenze. Al termine delle 2 attività si raccoglieranno le indicazioni e gli stimoli ricevuti per elaborare degli relazioni sui lavori come output per il territorio
Ora vediamo come il Sindaco di Siddi e presidente dell’Unione dei Comuni della Marmilla ha interpretato il suo ruolo nel primo Ampioraggio day 2023.


Come è arrivato a noi?

Ho conosciuto la Fondazione Ampioraggio tramite la Presidente del Comitato Scientifico Flavia Marzano incontrata tramite una comune amica che non mi stancherò mai di ringraziare per l’opportunità che mi ha offerto. In particolare, ho avuto modo di apprezzare le iniziative promosse dalla Fondazione Ampioraggio in occasione della selezione del format Jazz’Inn 2022 che vedeva candidata l’Unione di Comuni Marmilla. Grazie alla mobilitazione del territorio, fortemente voluta e sostenuta dai diciotto sindaci dell’Unione, pur non aggiudicandoci l’edizione 2022 di Jazz’Inn, abbiamo raggiunto il lusinghiero risultato del terzo posto. Da quel momento è nato un legame speciale tra noi e la Fondazione e non ci siamo più lasciati.

Che cosa si aspetta dal primo AR day che faremo proprio da voi?

Premetto che il direttore operativo Giuseppe De Nicola e la Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione, che godono della mia totale fiducia, si sono impegnati oltre misura per organizzare al meglio l’ampioraggio day in Marmilla. Comunque vada sarà un successo. Innanzitutto per il coinvolgimento: istituzioni pubbliche e private, mondo delle imprese e delle associazioni, terzo settore, giovani e operatori dei vari settori sociali. Poi per i temi trattati: attuali, innovativi, determinanti, fuori dal comune

Quali sono i suoi obiettivi?

L’obiettivo di questa due giorni non è rincorrere chimere, ma gettare un seme: un seme che sappia di coesione sociale e di senso di appartenenza alla comunità territoriale e su questa base rafforzare la consapevolezza, negli amministratori locali, nelle imprese, nelle cittadine e nei cittadini, negli operatori sociali ed economici, che la meravigliosa Marmilla non deve inventarsi nulla per contrastare il triste fenomeno dello spopolamento perché con i suoi gioielli culturali, ambientali, storici e artistici può davvero diventare da vivere, da riabitare, ed essere futuro per i nostri giovani

Può la vostra esperienza e quello che faremo insieme diventare un progetto pilota per altre amministrazioni?

Sono sincero: mi piace l’approccio della Fondazione, il suo modo di interagire, i suoi dirigenti e il suo importante e qualificato ecosistema. Il programma di Ampioraggio day consiste nel mettere fuoco le potenzialità e le opportunità di sviluppo sostenibile della Marmilla, evidenziandone le criticità laddove esistenti, con un metodo innovativo basato principalmente sull’ascolto dei soggetti interessati e proponendo quindi soluzioni non calate dall’alto ma facendo leva sulle reali esigenze del territorio e soprattutto sulle propensioni, sulle capacità e professionalità esistenti. Gli Open Talk e i Livings Lab evidenzieranno in modo chiaro le strategie necessarie per il rilancio della Marmilla e in questa ottica dati i nuovi strumenti di analisi, di proposta e di soluzioni utilizzati può diventare credibilmente un progetto pilota anche per altre amministrazioni comunali e territoriali

Che tipo di progetto pilota e con quali caratteristiche?

Si tratta di un progetto innovativo fatto di coinvolgimento e di condivisione fra i soggetti interessati, pubblici e privati, quindi con maggiori possibilità di radicamento e di riuscita. Il progetto coinvolge diverse parti dialoganti fra loro in modo armonioso, è attento alla realtà del territorio e favorisce la valorizzazione di risorse endogene, talora inespresse e foriere di sviluppo. Per questo il progetto potrà essere riproposto e adattato alle esigenze di altri territori e borghi con analoghe necessità per fare davvero ‘innovazione fuori dai luoghi comuni

Con quali obiettivi?

L’obiettivo è creare sviluppo vero e sostenibile, ancorato alla nostra storia, alle nostre competenze e ai nostri saperi, coniugato però con il mondo che si evolve, con i nuovi bisogni e con le nuove esigenze che provengono dalla società. Questo è quello che ci impegniamo a fare con l’Ampioraggio Day, un appuntamento non fine a sé stesso, ma l’avvio di un percorso che abbia come obiettivo la realizzazione di una progettualità che sia capace di plasmare una comunità territoriale coesa, moderna e tecnologica e faccia abbandonare i propositi migratori dei nostri giovani
La Fondazione Ampioraggio sarà presente con una delegazione di associati: i process owner dei living lab, i coordinatori degli open talk e alcuni soci; persone di grande esperienza in settori assai diversi tra loro ma molto collegati alle esigenze del territorio e di tutti i territori che abbiano le caratteristiche e le necessità evidenziate dal Presidente Pisanu, segnalo alcuni di loro:

  • Andrea Paoletti
  • Daniela Cadeddu
  • Francesco Napoli
  • Giulia Fabrizi
  • Martino Cortese
  • Maurizio Bertipaglia
  • Raniero Pani
  • Simone Caporale

Come diceva il Sindaco Pisanu, questo primo Ampioraggio Day ha anche l’obiettivo di essere un progetto pilota anche per gli altri 6 che faremo durante l’anno (Canistro – AQ, Castrocielo – Roma, Roseto Capo Spulico – CS, Rovereto – TN, San Giovanni in Galdo – CB, Torrazza Coste – PV) per definire insieme una sorta di SWOT analysis sulle necessità e le possibilità di sviluppo dei borghi italiani: vi aspettiamo in Marmilla per condividere esperienze, problematiche e soluzioni!

L’articolo è disponibile anche sul sito Web di laRepubblica

Read More
testata-scenari

La Quarta Rivoluzione Industriale: Prospettive ed Evoluzioni per il Lavoro e le Organizzazioni

di Roberto Saliola

Manageritalia

Nato a Roma, sposato, due figlie, laureato in Scienze Politiche, dirigente dal 1999. Ho esperienza ventennale nel settore delle PMI, con riferimento sia alla creazione d’impresa che alla fase di start up, maturate in Iritecna prima, in Sviluppo Italia e poi in Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa). Sono stato consigliere d’amministrazione dei BIC Umbria, Sardegna e Calabria. Ho allestito e gestito progetti di cooperazione internazionale, per la maggior parte finanziati dalla UE e rappresentato l’Italia in Comitati internazionali (gruppo di lavoro italo-vietnamita e italo-ungherese istituto dal MISE e Commissione ONU, UN-ECE, per riduzione della povertà attraverso la creazione di imprenditorialità). Sempre in ambito internazionale, sono direttore operativo della Hash Italia srl, società di servizi italo-israeliana. Sono stato Presidente della società di servizi GPA srl. In Manageritalia attualmente ricopro la carica di Presidente di Manageritalia Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna e Umbria. Sono stato consigliere di amministrazione di società e fondi contrattuali di Manageritalia. In Manageritalia, oltre ad occuparmi dei rapporti istituzionali dell’Associazione, seguo le linee progettuali dell’innovazione e dell’inserimento manageriale nelle PMI. Sono componente del CdA e Vice Presidente di Fondir, oltre ad occuparmi di progetti speciali (progetti di collaborazione con Enti Pubblici, progetti per l’innovazione e l’inserimento manageriale nelle PMI).

Come tutte le innovazioni tecnologiche, anche quella che stiamo vivendo ha potenzialmente una capacità liberatoria per gli individui e le società.

In maniera didascalica la storia industriale registra, con la presente, quattro rivoluzioni industriali, dove un cambiamento tecnologico ha mutato e trasformato non solo l’apparato produttivo, ma anche il contesto sociale ed economico.

La prima rivoluzione industriale datata tra la fine del 18° secolo e i primi decenni del 19° è la cosiddetta rivoluzione del vapore, nella seconda, datata intorno al 1870, viene introdotta la catena di montaggio e la forza motrice è rappresentata dall’energia elettrica, infine, la terza, che si colloca alla fine del secolo scorso, è la rivoluzione industriale caratterizzata dall’elettronica.

La quarta sarà la rivoluzione dell’intelligenza artificiale e dell’integrazione tra macchine

Questa quarta rivoluzione industriale probabilmente sarà una rivoluzione dalle grandi ricadute sugli aspetti umani e sociali. Assisteremo ad un aumento della produttività e molte attività pesanti o routinarie andranno incontro ad una sempre maggiore riduzione dello sforzo necessario per il proprio svolgimento.

Una prima conseguenza sarà un aumento del tempo a disposizione delle persone e da questo tempo libero potranno nascere istinti che aspettavano solo di essere liberati in campi quali l’arte, la creatività, l’innovazione. Si avrà un maggiore accesso alle informazioni e grazie ai big data si potranno comprendere, studiare e analizzare i fenomeni come non è mai successo nella storia dell’uomo.

Ma c’è l’altra faccia della medaglia. Dato per scontato l’enorme potenziale della tecnologia, sarà poi sempre il suo utilizzo a determinarne i risultati. E questo condiziona e condizionerà l’effetto positivo che la tecnologia ha su di noi, in termini di libertà, ma anche di competenze necessarie e di quella che Keynes chiamava “la disoccupazione tecnologica”.

John Maynard Keynes già all’inizio novecento parlava di “disoccupazione tecnologica” sostenendo che l’automazione avrebbe progressivamente tolto l’uomo dal mercato del lavoro sostituendolo con macchine più efficienti.

Oggi è necessario continuare ad istruirsi e riqualificarsi

La storia economica non ci permette di avere risposte certe su quelle che saranno le ricadute sul futuro mercato del lavoro. Se un tempo bastava spostarsi dalle campagne alle città per trovare lavoro oggi è necessario continuare ad istruirsi e riqualificarsi in modo da restare sempre al passo con i tempi e seguire i mutamenti che il mercato del lavoro subisce nel corso degli anni.

Uno dei motivi per cui quanto sostenuto da Keynes non si è ancora avverato va rintracciato nel fatto che la sostituzione dell’uomo con la macchina ha sempre portato ad un efficientamento dei processi, ad un aumento di produttività e quindi ad una riduzione dei prezzi di vendita. La conseguenza diretta a tale fenomeno è un aumento del reddito reale che permette l’aumento di domanda in settori nuovi andando ad aprire quindi nuovi spazi occupazionali.

Se fino ad ora la “disoccupazione tecnologica” è rimasta solo una preoccupazione, molti economisti iniziano a temere che da qui a poco si possa realizzare quanto predetto tempo fa da Keynes.

La rivoluzione in atto sta innegabilmente anche trasformando il mondo del lavoro, aumentando l’obsolescenza delle competenze e delle professioni. Le macchine tendono a sostituire via via l’uomo non solo in attività ripetitive ma anche in processi di analisi e talvolta decisionali, mentre vengono valorizzate le competenze connesse con la creatività, il pensiero laterale, la capacità empatica, relazionale e comunicativa, le valutazioni etiche.

Alcune forme di “intelligenza” possano rappresentare le chiavi del futuro, come la capacità di elaborare modelli interdisciplinari di interpretazione della realtà, come la capacità di sintetizzare e rendere comprensibili i dati, come la capacità creativa, intesa come risposta che per la sua elaborazione utilizza diversi punti di vista, piuttosto che la capacità di mettersi in relazione con gli altri, rispettandone emozioni e posizioni o infine di comportarsi in modo eticamente corretto.

Diventerà relativamente più facile trovare lavoro per operatori poco qualificati

Per effetto della “polarizzazione” del lavoro, ovvero di un fenomeno che vede un continuo aumento di domanda di lavoratori che si trovano alle estremità più alte e più basse dello spettro delle competenze, diventerà relativamente più facile trovare lavoro per operatori poco qualificati che svolgono mansioni non routinarie la cui sostituzione con macchine diverrebbe troppo costoso, oltre che complesso dal punto di vista ingegneristico.

All’altro lato dello spettro troviamo i lavoratori definiti “high skilled”, con competenze manageriali e per i quali la tecnologia non è ancora in grado di fornire soluzioni realmente sostitutive.

Le zone di lavoro e i lavoratori non ricompresi nelle due estremità saranno quelle per le quali l’intelligenza artificiale potrà essere realmente sostitutiva.

Il grande rischio è che molti lavoratori non colgano il cambiamento rischiando di essere lasciati indietro nel tempo. Diviene così fondamentale modificare in modo profondo le regole del mercato del lavoro.

Fino agli anni Settanta, la maggior parte delle persone viveva una vita di apprendimento, formazione e lavoro, dal percorso “normale”: c’era infatti la gioventù (il periodo della formazione), poi l’attività professionale e infine il pensionamento, tutte fasi che seguivano un percorso lineare. Nella società attuale singoli periodi della vita diventano fasi di passaggio che si incrociano, che comportano interruzioni (si pensi ai periodi di disoccupazione, o agli aggiornamenti) o che proseguono (con la formazione continua) e si ripetono riavviando un ciclo continuo di formazione e nuovo inserimento lavorativo.

Nella vita lavorativa si pretenderà sempre di più un adattamento continuo ai mutamenti. E ciò richiederà disponibilità ad un apprendimento che dura tutta la vita.

Cresce la necessità di rinnovare continuamente il proprio sapere per tutto l’arco della vita

Questo è vero anche perché la validità delle conoscenze “dura” sempre meno. Conoscenze acquisite solo pochi anni prima con tanta fatica sono già superate perché è cambiato il contesto e sono cambiate le necessità espresse del mondo del lavoro.

Quindi, non basta più adagiarsi sulle nozioni tecniche apprese tempo addietro. Cresce invece la necessità di rinnovare continuamente il proprio sapere per tutto l’arco della vita. E ciò vale per qualsiasi posto di lavoro, dal più semplice a quello manageriale.

Le risorse tecniche quindi da sole non sono più sufficienti, non caratterizzano realmente quello che le imprese richiedono ai propri dipendenti, in un contesto dove competizione e libero mercato imperano.

Quello che completa e rende vincente la dotazione di base di competenze tecniche sono le competenze chiave, le cosiddette “soft skill”, ovvero quelle competenze aggiuntive, trasversali, che integrano le “hard skill”, costituite appunto dal know-how prettamente tecnico.

Le competenze chiave, le soft skill, non sono quindi direttamente riconducibili alla professione, ma consentono un impiego efficace delle competenze tecniche, ad esempio attraverso competenze organizzative, relazionali, attraverso competenze che riguardano la personalità, come lo spirito d’iniziativa, la motivazione, l’empatia, la capacità di esercitare leadership.

Al concetto di resilienza Taleb ha affiancato il concetto di antifragilità

Cambiamenti personali e cambiamenti organizzativi: evoluzione, formazione ed adattamento. Viene alla mente il concetto di resilienza a cui Taleb ha affiancato il concetto di antifragilità: cioè quella caratteristica propria di un sistema di migliorare, adattarsi al cambiamento ed evolvere, nutrendosi dell’incertezza.

La ricetta per diventare antifragili e far diventare antifragili le nostre organizzazioni risiede nel far sì che si aumenti la responsabilizzazione dei ruoli e le competenze delle persone, aumentandone la capacità creativa anche grazie a tecnologie abilitanti e con analisi uniche ed autorevoli di foresight ed interpretazione del mondo che cambia. L’adattabilità dei sistemi e quindi delle persone ai cambiamenti risiede, di fatto, nella capacità di rendere sempre meno rigidi i sistemi stessi e le competenze delle persone.

Il percorso di aggiustamento e affinamento delle competenze sarà anche un percorso culturale: le aziende più pronte a vivere nel nuovo mondo quanto prima capiranno che la flessibilità mentale dei manager, la capacità di esercitare leadership e creare gruppo e la creatività avranno la meglio sulle specializzazioni tecniche che una volta caratterizzavano le scelte ed il recruitment, tanto prima saranno competitive sul mercato globale.

È anche un processo culturale, non è semplice né automatico

Questo però, essendo un processo, come detto, che per molti aspetti è anche un processo culturale, non è semplice né automatico. Il pericolo che vedo quindi è quello di un pericoloso mismatch tra domanda ed offerta di professionalità, dove il sistema di formazione e manutenzione delle competenze deve essere pronto a recepire, interpretare e rendere disponibile l’insegnamento di competenze trasversali superando quel paradigma culturale che ancora spesso vede la formazione avere un ruolo “riparatore”, di intervento successivo al verificarsi di situazioni che hanno messo a rischio le performance aziendali; una visione ereditata dal passato nella quale il processo di erogazione dell’offerta formativa aziendale aveva da sempre dovuto fare i conti con il modello di insegnamento scolastico, piuttosto che ritenerla uno strumento di promozione di nuove competenze e professionalità, adatto alla complessità odierna.

Requisiti necessari diventano allora la capacità di sapersi adattare a lavori diversi da quelli prospettati dal titolo di studio nonché la capacità di gestire la complessità e l’instabilità stessa del sistema.

Possedere le fondamentali abilità cognitive, sociali, emotive e relazionali è elemento predittivo di successo nella ricerca di lavoro e successivamente di buone prestazioni professionali.

Questo per dire che le aziende oggi si stanno rendendo conto che per rimanere competitive devono gestire esplicitamente le loro risorse intellettuali e le competenze dei propri dipendenti, competenze intese come caratteristiche intrinseche di un individuo, direttamente correlate ad una prestazione efficace.

La gestione della conoscenza tende alla trasformazione in capitale strutturale del capitale intellettuale, costituito non più solo da risorse immateriali come brevetti, marchi, rapporti con la clientela ecc, ma anche da skill, esperienze e competenze delle persone inserite nell’organizzazione, in un umanesimo manageriale che potrebbe sempre più caratterizzare l’approccio manageriale e lavorativo alla Quarta Rivoluzione Industriale.

Read More
#thegov_button_6928dab1e5f9d { color: rgba(255,255,255,1); }#thegov_button_6928dab1e5f9d:hover { color: rgba(255,255,255,1); }#thegov_button_6928dab1e5f9d { border-color: rgba(92,92,127,1); background-color: rgba(92,92,127,1); }#thegov_button_6928dab1e5f9d:hover { border-color: rgba(159,180,35,1); background-color: rgba(159,180,35,1); }

Iscriviti alla Newsletter

Rimani aggiornato sulle ultime novità, articoli e aggiornamenti di Fondazione Ampioraggio